“La vita” come dice Forrest Gump nell’omonimo film, “è come una scatola di cioccolatini, non sai mai quello che ti capita”.
Può accadere qualcosa per la quale non siamo abbastanza preparati. Come da bambini quando impariamo a camminare e sperimentiamo con le cadute il dolore e le braccia di mamma e papà pronte a rimetterci in piedi per riprovare.
Crescendo, può capitare di scegliere una scuola poco in sintonia con i propri desideri e trovarsi a dover ricominciare, mentre i nostri amici arrivano spediti al diploma. Di incontrare una persona importante, che stravolge le nostre abitudini, il nostro modo di pensare, che ci fa brillare gli occhi, battere forte il cuore e lentamente accorgersi che è una relazione troppo dolorosa da proseguire. Può capitare di scoprire di dover affrontare una malattia importante e dover modificare le abitudini che si avevano prima o doversi separare prematuramente da una persona cara, da un amico, persone che per noi erano un punto di riferimento e senza le quali la vita sembra avere poco senso.
Nella nostra società, il lavoro non è più soltanto un mezzo di sostentamento, è la nostra l’immagine, la nostra identità e diviene faticoso, a volte molto faticoso, adattarsi ai mutamenti imposti da un’economia che cambia in modo sempre più veloce le regole, le certezze che per secoli ci hanno sostenuto. Quella stessa imprenditoria, cresciuta nei rampanti anni ottanta/novanta per la quale bastava indossare un doppiopetto blu per sentirsi tale. Che ha trasformato le botteghe artigiane in fabbriche e ritenuto che gli investimenti migliori fossero nelle speculazioni finanziarie, piuttosto che nell’aggiornamento delle competenze proprie e dei dipendenti; oggi si lamenta perché si sente vittima di un sistema che non l’ha garantita, protetta, che regala ai mercati esteri le proprie produzioni.
Il vittimismo, come l’addossare agli altri la responsabilità di ciò che ci accade, non ci aiuta ad attuare il cambiamento necessario per mutare gli eventi a nostro favore. Da una relazione che finisce possiamo comprendere che abbiamo dato poco ascolto ai nostri bisogni, o a quelli del nostro compagno; che se il mercato del lavoro si restringe, perché c’è poca disponibilità di operare nelle professioni tradizionali, dobbiamo migliorare le nostre conoscenze, capacità e competenze per fare altro. Il bisogno di avere un’alimentazione più sana, ha stimolato molte persone a coltivare ortaggi e verdure anche su terrazzi o piccoli giardini, che hanno richiesto le competenze di agronomi che sono diventati i tutor dei “contadini metropolitani” affinché le colture diano i loro frutti migliori.
Certo quando le tessere del puzzle del nostro progetto di vita non s’incastrano come vorremmo e tutto sembra essere contro di noi, trovare la forza e l’energia per rimettersi in gioco è faticoso.
Tuttavia la capacità di assorbire gli urti nelle avversità e trovare nuovi adattamenti è una capacità dell’essere umano diventata oggetto di studio in ambiti diversi del mondo accademico. Dalla psicologia, alla sociologia all’economia si sono osservate le particolari caratteristiche di soggetti campionati per i risultati ottenuti. Così oggi in termini scientifici si parla di “resilienza”, definita come “la capacità di far fronte in maniera positiva agli eventi traumatici o stressanti e di riorganizzare e dare una nuova direzione alla propria vita dinanzi alle difficoltà. È la capacità di apprendere dalle esperienze dolorose che divengono una sfida e dunque una possibilità di apprendimento che attiva risorse personali al fine di ottenere un cambiamento positivo e ristabilire un nuovo equilibrio” (Malaguti, 2005).

 

I fattori che concorrono allo sviluppo di un livello più o meno alto di resilienza, come quello che ha fatto dire a Rita Levi Montalcini “le leggi razziali del 1938 si sono rivelate la mia fortuna, perché mi hanno obbligata a costruirmi un laboratorio in camera da letto, dove ho cominciato le ricerche che mi hanno in seguito portato alla scoperta del Nerve Growth Factor”, sono caratteristiche legate alla personalità, al contesto sociale alle relazioni come indicato nella definizione di Putton e Fortugno (2006) (elencati sotto).

FATTORI SOCIALI

FATTORI RELAZIONALI

FATTORI INDIVIDUALI

E’ importante imparare a coltivare l’ottimismo (Seligman, 2013), la capacità di sdrammatizzare ciò che accade, saper accogliere e gestire le emozioni, alimentare la fiducia di poter riuscire nel proprio intento, costruire rapporti familiari e sociali sufficientemente sani dai quali sentirsi sostenuti e a cui poter ricorrere in caso di bisogno. Per potenziare e riscoprire queste nostre caratteristiche, quando non riusciamo da soli attraverso la condivisione dell’esperienza all’interno di un gruppo informale, o con la lettura di testi specifici, possiamo richiedere l’intervento di un professionista della relazione d’aiuto, come l’attività svolta da un counselor, che saprà sostenerci e guidarci nell’accettazione e nelle scelte per il cambiamento.

BIBLIOGRAFIA

Putton A., Fortugno M. (2006), Che cos’è la resilienza e come svilupparla, Carocci, Roma.
Malaguti E. (2005), Educarsi alla resilienza. Come affrontare crisi e difficoltà e migliorarsi, Centro Studi Erickson, Trento.
Zolli A., Healy A.M. (2014), Resilienza. La scienza di adattarsi ai cambiamenti, Rizzoli, Milano
Seligman M. (2013), Imparare l’ottimismo. Come cambiare la vita cambiando il pensiero, Giunti Editore, Firenze.

FILMOGRAFIA

Il lato positivo, 2012, Regia David O. Russell.
Cenerentola, 2015, Regia Kenneth Branagh.

ASPIC LATINA

Sara Angelucci